Con il termine stakeholder si individuano i soggetti sostenitori nei confronti di un’iniziativa economica, sia essa un’azienda o un progetto.
Fanno, ad esempio, parte di questo insieme: i clienti, i fornitori, i finanziatori (banche e azionisti), i collaboratori, ma anche gruppi di interesse esterni, come i residenti di aree limitrofe all’azienda o gruppi di interesse locali.
La definizione fu elaborata nel 1963 al Research Institute dell’università di Stanford.
Il primo libro sulla teoria degli stakeholder è “Strategic Management: A Stakeholder Approach” di Edward Freeman, che diede anche la prima definizione di stakeholder, come i soggetti senza il cui supporto l’impresa non è in grado di sopravvivere (traduzione letterale).
Secondo questa teoria, il processo produttivo di un’azienda generica deve soddisfare delle soglie critiche di costo, servizio e qualità che sono diverse e specifiche per ogni stakeholder. Al di sotto di una prestazione minima, il cliente cambia fornitore, manager e dipendenti si dimettono, e i processi materialmente non possono continuare.
Con il tempo prevale il “filone etico”. Nel 1984, insieme a William M. Evan in “A stakeholder approach on modern corporation: the kantian capitalism”, si definiscono stakeholder tutti i soggetti che possono influenzare oppure che sono influenzati dall’impresa. L’impresa deve tener conto anche di quanti non hanno potere diretto su processi e profitti, ma ne subiscono le conseguenze (come un impatto ambientale negativo).
Il dibattito si spinge oltre, dicendo che non solo l’impresa non deve far scendere il benessere attuale delle persone, ma deve accrescere la ricchezza generale, e tener conto anche dei portatori d’interesse “passivi” che non sono in grado di condizionarla in un secondo senso: lo stakeholder è il soggetto il cui raggiungimento degli obiettivi personali dipende dall’impresa. Da Kant riprende l’idea del regno dei fini per la quale nessun uomo può essere mezzo delle azioni di altri uomini, ma soltanto fine; la finalità dell’essere umano è un imperativo categorico.
L’impresa è intesa come luogo di mediazione fra gli interessi talora contrastanti degli stakeholder, e camera di compensazione in cui ciascuno raggiunge i propri fini.
I diritti della società prevalgono sui diritti di proprietà degli azionisti. Fra i diritti degli stakeholder primeggia il diritto alla felicità, che vincola l’impresa poiché i loro obiettivi dipendono da ciò che fa l’azienda.
Nell’interpretazione di alcuni studiosi sono comprese anche le aziende concorrenti. Fino agli anni ’90 l’orientamento escludeva i concorrenti perché la modellazione non entrava in dettaglio rispetto agli stakeholder; per i concorrenti gli autori della stakeholder view consigliavano un’analisi dei punti di forza e debolezza (analisi SWOT: strength weakness opportunity and threat analysis). Gli stakeholder erano pensati come un vincolo più che un obiettivo, un vincolo ai processi che devono garantire prestazioni minime di costo, servizio e qualità di prodotto e di processo per assicurarsi il loro supporto vitale. Rispettate quelle soglie critiche, il comportamento di clienti, manager e operatori è una costante. E segmentare una costante è inutile.
Nel fare strategia diviene rilevante l’ambiente esterno in generale e non un’analisi di ogni stakeholder. L’ipotesi non vale per i concorrenti, perché le loro azioni non sono attivate solo in reazione al fatto che l’impresa viene meno a standard minimi di certe prestazioni, ma anche in maniera autonoma e proattiva.
Soddisfarne le esigenze e le aspettative è difficile perché: i soggetti sono di natura differente, spesso non sono chiari ai soggetti stessi gli obiettivi, spesso questi sono contrastanti, etc.
A ciò si aggiunge un ulteriore argomento economico, secondo il quale un’impresa non può sopravvivere nel lungo periodo avendo l’opinione pubblica avversa, perché a lungo termine qualunque soggetto diventa influente e vitale, ossia stakeholder, specialmente se non è stato considerato nel passato.