La separazione di fatto è l’espressione con cui si allude alla fine della vita matrimoniale ed eventualmente all’interruzione della convivenza attuata senza intervento del magistrato. Si tratta di un fenomeno da sempre frequente tra le coppie che si sfaldano; come evidenziano anche le indagini più recenti, infatti, un elevato numero di coniugi si lascia al di fuori dei percorsi tracciati dal diritto, oppure giunge a separarsi in via legale dopo un periodo di semplice separazione di fatto. Infatti sempre più spesso si arriva alla separazione giudiziale dopo che già i coniugi si sono separati di fatto, situazione che si verifica sia quando i coniugi stabiliscono di comune accordo di far cessare la convivenza sia quando uno dei due lascia l’abitazione familiare e l’altro accetta o tollera la decisione – la separazione di fatto differisce dall’ingiustificato abbandono della residenza familiare, disciplinato dall’art. 146 cod. civ., che è caratterizzato dalla mancanza di accordo o di tolleranza da parte dell’altro.
Al riguardo va premesso che l’art. 151 cod. civ., nel testo vigente al quale occorre far riferimento per comprendere gli attuali principi del legislatore in materia matrimoniale, prevede che la separazione giudiziale possa essere chiesta quando si verifichino, “anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza”.
La norma, innovativa del precedente regime della separazione – nel quale la separazione poteva essere richiesta solo in relazione a fattispecie tipiche, evidenzianti una colpa dell’altro coniuge, e solo dal coniuge incolpevole – è manifestazione di una concezione del matrimonio e della famiglia che, dal tempo dell’emanazione del codice civile, si era andata modificando rendendone necessaria la riforma.
La possibilità attribuita dal nuovo testo della norma a ciascun coniuge, a prescindere dalle responsabilità o dalle colpe nel fallimento del matrimonio, di richiedere la separazione, ne ha eliminato il carattere sanzionatorio e ha modificato la posizione giuridica dei coniugi in relazione alla continuazione del rapporto quando l’affectio coniugalis sia venuta meno.
La formula adottata nel nuovo testo si è prestata ad un’interpretazione di natura strettamente oggettivistica, che fonda il diritto alla separazione sull’accertamento di fatti che nella coscienza sociale e nella comune percezione rendano intollerabile il proseguimento della convivenza coniugale. Ma si presta anche ad un’interpretazione aperta a valorizzare elementi di carattere soggettivo, costituendo la “intollerabilità” un fatto psicologico squisitamente individuale, riferibile alla formazione culturale, alla sensibilità e al contesto interno alla vita dei coniugi.
Partendo da una interpretazione prevalentemente oggettivistica della norma, alla quale ha ancorato il controllo giurisdizionale sulla “intollerabilità” della prosecuzione della convivenza (Cass. 1997, n. 6566; 7 dicembre 1994, n. 10512; 10 gennaio 1986, n. 67; 21 febbraio 1983, n. 1304), la Cassazione ha già avuto modo di affermare (Cass. 10 giugno 1992, n. 7148) che, pur dovendo, ai sensi del novellato art. 151 cod. civ., la separazione dei coniugi trovare causa e giustificazione in situazioni di intollerabilità della convivenza oggettivamente apprezzabili e giuridicamente controllabili, per la sua pronuncia non è necessario che sussista una situazione di conflitto riconducibile alla volontà di entrambi i coniugi, ben potendo la frattura dipendere dalla condizione di disaffezione e di distacco spirituale di una sola delle parti.
Nonostante la diffusione sociale della separazione di fatto, il Legislatore mostra una sostanziale indifferenza verso il fenomeno, mentre la giurisprudenza si trova sempre più spesso a dover qualificare tale fenomeno: il codice civile si contenta di regolare le due forme tradizionali di separazione legale (giudiziale e consensuale), senza neppure menzionare quella di fatto; ad essa si richiamano soltanto le leggi n. 898/70 sul divorzio (con una norma transitoria che ha ormai esaurito ogni effetto) e n. 184/83 sul diritto del minore a una famiglia (ove la separazione di fatto, al pari di quella legale, si pone come elemento ostativo all’adozione). Alle disposizioni che espressamente accennano alla “separazione di fatto”, tuttavia, occorre sommare le norme, ben più numerose, che trattando di “allontanamento” dalla residenza, di “coabitazione” o “convivenza” coniugale offrono ulteriori e impliciti spiragli di regolamentazione positiva. A partire da questo eterogeneo arcipelago di norme, giurisprudenza e dottrina hanno tentato di offrire risposte ai numerosi problemi che ogni crisi di coppia fa sorgere, colmando le lacune del sistema.
Diversamente dal passato quindi oggi la separazione può essere dichiarata per cause oggettive, cioè indipendentemente dalla colpa di uno dei due coniugi. È possibile quindi che i coniugi si separino perché avvenimenti esterni logorano l’unione sentimentale, perché avvengono circostanze non previste, né prevedibili, al momento della celebrazione del matrimonio, perché ci si rende conto dell’esistenza di un’incompatibilità caratteriale insuperabile e, in generale, per tutti quei fatti che rendono intollerabile la prosecuzione del rapporto.
Può accadere che i coniugi decidano di interrompere la convivenza senza formalità (senza quindi fare ricorso ad un giudice), ponendo in essere la cosiddetta separazione di fatto, (marito e moglie vivono insieme o in dimore diverse, ma ognuno si occupa del proprio destino, disinteressandosi dell’altro). Pertanto ci si chiede se, in simili circostanze, si può addebitare la separazione al coniuge che, dopo essersi separato di fatto dalla moglie o dal marito, abbia iniziato a convivere con altro partner.
In materia è nota la sentenza della Corte di Cassazione (Cassazione Civile 13.07.01 n. 9515), per la quale il coniuge che abbia iniziato a convivere con altra persona dopo essersi separato di fatto dall’altro non può essere considerato responsabile del fallimento della vita matrimoniale, perché manca il nesso di causalità tra la violazione del dovere di fedeltà e l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza coniugale. Ovviamente nel caso in esame si era già accertato l’esistenza di una crisi del matrimonio a prescindere dal rapporto extraconiugale che ha dato vita alla convivenza. In altre parole si era di fronte ad una separazione di fatto tra i coniugi.
Con la sentenza del 14 febbraio 2007, n. 3356, la Corte di Cassazione Civile ha affermato che, in una visione evolutiva del rapporto coniugale – ritenuto, nello stadio attuale della società, incoercibile e collegato al perdurante consenso di ciascun coniuge – il giudice, per pronunciare la separazione, deve verificare, in base ai fatti obbiettivi emersi, ivi compreso il comportamento processuale delle parti, con particolare riferimento alle risultanze del tentativo di conciliazione ed a prescindere da qualsivoglia elemento di colpa, l’esistenza, anche in un solo coniuge, di una condizione di disaffezione al matrimonio tale da rendere incompatibile la convivenza. Ove tale situazione d’intollerabilità si verifichi, anche rispetto ad un solo coniuge, questi ha diritto di chiedere la separazione. Tale interpretazione, che deve ritenersi a sua volta conforme ai principi costituzionali espressi dagli artt. 2 e 29 Cost. i quali, riconoscendo e tutelando il primo i diritti inviolabili dell’uomo “sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, e riconoscendo il secondo “i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”, implicano per ciascun coniuge il diritto di ottenere la separazione ed interrompere la convivenza ove, per fatti obbiettivi, ancorché non dipendenti da “colpa” dell’altro coniuge o propria, tale convivenza sia per lui divenuta “intollerabile”, così da essere divenuto impossibile svolgere adeguatamente la propria personalità in quella “società naturale” costituita con il matrimonio che è la famiglia. Tale interpretazione non è contraddetta dai doveri verso i figli, sanciti per i genitori dall’art. 30 Cost., i quali permangono in regime di separazione e di divorzio, cosicché la questione di costituzionalità adombrata in proposito con il motivo appare manifestamente infondata.
In virtù di tali elementi giurisprudenziali è possibile sostenere che la separazione di fatto, la quale non è vietata dal nostro ordinamento ancorchè non produce gli effetti della separazione legale, ha delle conseguenze giuridiche e può essere un modo, almeno transitorio per evitare quella conflittualità endofamiliare che spesso è la vera causa di quella sofferenza sia della prole che dei coniugi a cui il Legislatore non ha ancora posto rimedio.