Paga una maximulta da 10mila euro il padrone che non fa curare il proprio cane. Si tratta di una condotta infatti che va ben oltre la trascuratezza e che integra il reato di maltrattamento di animali. È quanto ha sancito la Suprema Corte con la sentenza n. 22579/2019 condannando in via definitiva un 42enne leccese per il reato di cui all’art. 544-ter c.p.
La vicenda – Nella vicenda, la Corte d’appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riduceva la pena irrogata all’uomo in 10mila euro di multa, relativamente al reato di maltrattamento di animali, in quanto in qualità di proprietario di un cane meticcio femmina “ometteva di adottare i provvedimenti necessari ad assicurare il benessere e la salute dello stesso animale, mettendone in pericolo la sua sopravvivenza”.
Il povero cane veniva rinvenuto infatti dagli operatori del canile “vagante e in pessime condizioni di salute”, con “vari tumori mammari di grosse dimensioni e ulcerati” oltre a dermatiti in varie zone del corpo.
A nulla serve il ricorso del padrone che lamenta la mancanza di qualsiasi prova della volontà della condotta, limitata all’omissione di cure in quanto non essendo veterinario non si era reso conto della gravità della malattia del proprio cane e adducendo il tutto solo a “trascuratezza” e non certo alla volontà di cagionare sofferenza e malattia al proprio pet.
Reato non portare il cane dal veterinario – La Cassazione, infatti, non è d’accordo. Nel caso di specie, la condotta del padrone è stata tenuta con dolo generico, senza necessità, come adeguatamente motivato dal giudice d’appello. Il ricorrente con il suo comportamento omissivo, ovvero con totale abbandono ed incuria del cane aveva cagionato notevoli sofferenze all’animale tanto da rendere necessario un immediato intervento chirurgico; e la malattia era del resto presente da molto tempo. La mancata sottoposizione del cane ad idonee cure aveva comportato sicuramente gravi sofferenze per lo stesso e tale comportamento deve ritenersi senz’altro doloso, intenzionale, non già colposo. E anche se la malattia non è stata cagionata dal ricorrente, ciò che rileva è il suo aggravamento, data la mancata sottoposizione ad adeguate cure per limitarla o debellarla, configurando perciò le lesioni rilevanti ex art. 544 ter cod. pen.
Il principio di diritto – Per cui gli Ermellini, rigettano il ricorso e formulano il seguente principio di diritto: «Configura la lesione rilevante per il delitto di maltrattamento di animali, art. 544 ter, in relazione all’art. 582, cod. pen., l’omessa cura di una malattia che determina il protrarsi della patologia con un significativo aggravamento fonte di sofferenze e di un’apprezzabile compromissione dell’integrità dell’animale».
Fonte: https://www.diritto24.ilsole24ore.com – Pubblicato il 24 Maggio 2019 | di Marina Crisafi