Nelle precedenti Legislature con il disegno di legge n. 850 del 2007, si autorizzava la ratifica del Trattato di Strasburgo del 27 gennaio1999 e la convenzione di Merida del 2003. La normativa europea imponeva agli stati aderenti una politica criminale più severa nei confronti della corruzione.
La legge, oltre a unificare corruzione e concussione in un’unica fattispecie – anche perché di pubblici ufficiali che minacciano il privato inerme di atti pregiudizievoli in caso di mancato pagamento se ne vedono sempre meno – e a prevedere alcuni aumenti di pena contiene, in ossequio alla convenzione, un’interessante, e attuale, fattispecie di nuovo conio. Il traffico di influenze illecite. L’iter parlamentare si è interrotto, e sembra interessante ripescare il tema proprio ora che il governo annuncia nuove misure anticorruzione, quale spunto di riflessione in una prospettiva di riforma.
Secondo la convenzione di Strasburgo e il relativo disegno di legge italiano del 2007,
“Chiunque, vantando credito presso un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, ovvero adducendo di doverne comprare il favore o soddisfare le richieste, fa dare o promettere a sé o ad altri denaro o altra utilità quale prezzo per la propria mediazione o quale remunerazione per il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Nei casi di cui al primo comma, chi versa o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione da due a cinque anni.La condanna importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Le pene previste dal primo e dal secondo comma sono aumentate se il soggetto che vanta credito presso un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio ovvero adduce di doverne comprare il favore o soddisfare le richieste, riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio“.
Qual è la necessità di incriminare questi comportamenti?
Le nuove forme che assumono i fenomeni corruttivi hanno reso necessaria la formulazione di una fattispecie di diversa struttura che si compone di uno schema trilaterale (diversamente da quello bilaterale della corruzione). Il trading of influences punisce chiunque riceve una retribuzione, non già per un’attività compiuta da lui stesso, ma per un’opera di intermediazione nei confronti di un terzo soggetto, pubblico, che compirà l’attività illecita di favore.
Se la norma europea venisse recepita, diverrebbe illecita penalmente la condotta di Tizio, che riceve un incarico professionale da parte di Caio, a fronte della attività amministrativa contraria al dovere di imparzialità che porrà in essere Sempronio in favore di Caio, utilizzando il rapporto di cointeressenza tra Tizio, che può anche essere un soggetto privato, e Sempronio, che è sempre un soggetto pubblico.
La tradizionale forma bilaterale della corruzione si spezza quindi in due parti, la retribuzione viene ricevuta all’intermediario, mentre l’attività amministrativa illecita sarà svolta da un diverso soggetto. In un’altra occasione l’intermediario restituirà il favore ricambiando l’attività posta in essere dal pubblico ufficiale. La differenza con la “vecchia” corruzione è evidente e può essere paragonata alla differenza che passa tra un semplice baratto e una più sofisticata triangolazione: si inserisce una nuova figura di intermediario e il soggetto che riceve la retribuzione è diverso da quello che compie l’attività amministrativa “di favore”.
Il fenomeno difficilmente sarà penalmente sanzionabile alla stregua della fattispecie di corruzione in vigore in Italia. A tale vuoto normativo deve aggiungersi, per avere un più completo quadro del fenomeno, che le modalità con cui la Pubblica amministrazione si dota di beni e servizi sono sempre più privatistiche nel senso che sono sempre meno le attività appaltate con il sistema dell’evidenza pubblica e l’aumentata discrezionalità dell’agire della P.A. Questo può rendere il trading of influence difficilmente controllabile ex post.
Qual’è il nesso tra questa (mancata) incriminazione e il tessuto economico di un paese?
Il fenomeno sopra descritto, ripetuto un elevato numero di volte porta a tessere una ragnatela di favoritismi scambievoli che sono l’antitesi della selezione meritocratica dei player professionali ed economici di un paese. In poche parole chi progetta un’opera pubblica, chi la esegue, chi ne testa la sicurezza, chi offre una consulenza professionale, chi offre un parere legale, chi dà una consulenza finanziaria e strategica su un progetto, non viene scelto per il proprio curriculum professionale, per le idee innovative che ha.
La selezione, cioè, non è fatta alla stregua dalla capacità di offrire soluzioni tecniche innovative da parte una nuova generazione di professionisti, formatisi tra mille fatiche all’insegna della qualità, che potrebbero offrire i propri servizi professionali e imprenditoriali, in un quadro di piena concorrenza, in qualsiasi paese europeo, come infatti accade sempre più di frequente.
Ricordo l’incredulità, in un viaggio in Danimarca, alla scoperta di quell’appalto vinto, per il palazzo più importante della città, da un architetto di 25 anni. In Italia difficilmente accadrebbe. Non a caso a partire dallo scoppio della bolla economica americana, in Italia, i professionisti (quelli che pagano le tasse) hanno visto grandemente ridotta la loro capacità reddituale. Ma non è solo la recessione a colpire, è anche la ragnatela di traffico di reciproche influenze che governa le scelte della P.A., senza nessun controllo o procedura di selezione per meriti e titoli.
Ma l’effetto non si ferma qui, il traffico di influenze illecite, coopta i propri adepti (professionali e imprenditoriali) con criteri che vanno a discapito della qualità di beni e servizi che la Pubblica amministrazione offre ai cittadini. Ed ancora: la mancata sanzione penale per questi comportamenti, nei quali premia la capacità contrattuale di porsi al centro di uno scambio di favori, non esplica quella funzione educativa (per i tecnici, la funzione general preventiva dell’incriminazione) per le nostre future classi dirigenti. I nostri figli stanno così imparando che non serve l’impegno, lavorare senza sosta e con passione al proprio lavoro, ma un papà che è parte della “ragnatela”.
Studio estratto dal sito corriere della sera e redatto da Paola Parise.