La legge 18 giugno 2009 n.69, con efficacia a decorrere dal 4 luglio 2009, ha inteso “rinvigorire” il processo civile.
La riforma ha in particolare operato molteplici abbreviazioni di termini mirando a ridurre la durata del giudizio, onerando le parti di adempimenti in tempi più rapidi, ed ha integrato alcuni articoli del codice di rito. Le parti sono chiamate ad attivarsi in maniera tempestiva per evitare che il Giudice, anche d’ufficio, dichiari l’estinzione del processo, esse sono quindi chiamate a notificare l’atto di riassunzione, completo di ogni suo elemento, al destinatario, non appena abbiano obiettiva conoscenza della ragione che ha determinato la sospensione e/o interruzione del giudizio. Tra le importanti modifiche apportate dalla suddetta riforma di estrema importanza si configura quella che ha interessato l’art 305 c.p.c. “… Il processo deve essere proseguito o riassunto entro il termine perentorio di tre mesi dall’interruzione, altrimenti si estingue …”. Precedentemente il termine perentorio era di sei mesi, la riforma ne ha dunque comportato il dimezzamento. I casi che possono portare alla sospensione del processo e quindi alla necessità di riassunzione sono diversi, tra i più importanti potremmo citare: la morte della parte o del suo rappresentante legale, la perdita della capacità di stare in giudizio di una delle parti o del rappresentante legale o la cessazione di tale rappresentanza, la morte, radiazione o sospensione del difensore. Tutte queste ipotesi costituiscono eventi che incidono in modo determinante sull’effettività del contraddittorio, al verificarsi di uno di tali fatti la parte non è più nella possibilità di difendersi adeguatamente, e dunque l’interruzione del processo è inevitabile.
Nel tempo oggetto di discussione è sempre stata l’individuazione del momento da cui far partire il decorso del termine utile per la riassunzione.
È importante sottolineare che più volte in passato la Corte Costituzionale è stata chiamata ad intervenire su questo tema, e spesso il risultato di tali interventi è stata la dichiarazione di incostituzionalità di diversi articoli, tra gli interventi più significativi potremmo ricordare: la sentenza n. 34 del 1970, pronunziata in tema di sospensione del processo, con la quale si dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 297, primo comma, cod. proc. civ., «nella parte in cui disponeva la decorrenza del termine utile per la richiesta di fissazione della nuova udienza dalla cessazione della causa di sospensione anziché dalla conoscenza che ne avessero le parti del processo sospeso».
O ancora, con sentenza n. 159 del 1971, seguendo lo stesso iter logico delle precedenti decisioni, fu dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 305 cod. proc. civ., «nella parte in cui disponeva che il termine utile per la prosecuzione o per la riassunzione del processo interrotto ai sensi dell’art. 299 dello stesso codice decorreva dall’interruzione anziché dalla data in cui le parti ne avessero avuto conoscenza»;
In base ai principi affermati dalla Corte si è consolidato nella giurisprudenza di legittimità l’orientamento secondo cui il termine per la riassunzione del processo interrotto decorre non già dal giorno in cui si è verificato l’evento interruttivo, bensì da quello in cui tale evento sia venuto in forma legale a conoscenza della parte interessata alla riassunzione.
L’ultimo intervento della Corte Costituzionale è datato gennaio 2010, in questo caso la riassunzione si rende necessaria a causa della dichiarazione di fallimento di una delle parti.
Il Tribunale di Biella, con ordinanza depositata il 6 marzo 2009, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione, dell’art. 305 del codice di procedura civile, considerato che tale articolo va interpretato tenuto conto di quanto disposto dall’ 41 del d.lgs. n. 5 del 2006 in materia di fallimento, secondo il quale l’interruzione opera automaticamente a seguito dell’apertura del fallimento. Il caso che ha spinto il Tribunale di Biella ad avanzare una simile ipotesi può essere così brevemente ricostruito:
“All’udienza di prima trattazione, il giudice concedeva i termini per il deposito di memorie, ai sensi degli artt. 183 e 184 cod. proc. civ., ed all’udienza del 17 maggio 2007, fissata per l’ammissione delle prove, il difensore dell’opposta dichiarava l’intervenuta pronunzia di fallimento della Beta s.n.c. e dei soci illimitatamente responsabili, avvenuta con sentenza emessa dal Tribunale di Biella depositata il 17 gennaio 2007.
Alla stessa udienza del 17 maggio 2007 il processo era dichiarato interrotto.
Con ricorso depositato il 14 settembre 2007 l’opponente, dichiarandosi interessata alla prosecuzione del giudizio, chiedeva la fissazione di una nuova udienza; il 29 ottobre 2007 erano notificati il ricorso ed il pedissequo decreto ed all’udienza del 12 febbraio 2008 il fallimento della Beta. s.n.c. di Caio & C. si costituiva eccependo, in via preliminare, l’estinzione del processo perché l’opponente non avrebbe riassunto tempestivamente la causa.
In particolare, ai sensi dell’art. 305 cod. proc. civ., si riteneva che il processo dovesse essere riassunto entro il termine perentorio di sei mesi dall’interruzione e, tenuto conto che in virtù dell’articolo 43, terzo comma, della legge fallimentare, come introdotto dall’art. 41 del d.lgs. n. 5 del 2006, l’interruzione opera automaticamente a seguito dell’apertura del fallimento, la riassunzione era da considerare tardiva, atteso che il fallimento era stato dichiarato in data 17 gennaio 2007 e la riassunzione, invece, eseguita con ricorso depositato il 14 settembre 2007.”
La Corte Costituzionale ha negato l’incostituzionalità dell’art 305 c.p.c. sulla base delle seguenti motivazioni:
L’art. 43 del r.d. n. 267 del 1942, con il terzo comma aggiunto dall’art. 41 del d.lgs. n. 5 del 2006, ha introdotto un nuovo caso d’interruzione automatica del processo, conseguente all’apertura del fallimento, mentre in precedenza anche nell’ipotesi di fallimento della parte, l’interruzione del processo derivava dalla dichiarazione in giudizio o dalla notificazione dell’evento interruttivo ad opera del procuratore costituito della parte medesima. La disposizione menzionata, però, nulla ha previsto per la riassunzione, sicché al riguardo continua a trovare applicazione l’art. 305 cod. proc. Civ.. Non sono ravvisabili ragioni idonee a giustificare, per la fattispecie qui in esame, una disciplina giuridica diversa rispetto alle altre ipotesi d’interruzione automatica, attesa l’identità di ratio e di posizione processuale delle parti interessate.
L’art. 43 legge fallimentare, nella nuova formulazione ad opera dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, che disciplina l’interruzione del processo per effetto della dichiarazione di fallimento, deve essere interpretato nel senso che l’interruzione opera di diritto dal momento dell’apertura del fallimento e non da quello della dichiarazione che in udienza ne faccia il procuratore. Tuttavia questione diversa dal fatto interruttivo è però la decorrenza del termine per la riassunzione del processo.
La Corte Costituzionale afferma dunque che anche in questo caso trova applicazione il principio generale che fa decorrere il termine della riassunzione non già dal giorno in cui si è verificato l’evento interruttivo, bensì da quello in cui tale evento sia venuto a conoscenza della parte interessata.
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